Forward
Marketing politico e presidenziali Usa, una campagna elettorale fino all’ultimo Penny.
Articolo scritto e liberamente elaborato da Pasquale Incarnato tratto da “Kamala Harris Forward”.
Ormai manca sempre meno al tanto atteso Election Day del 5 novembre negli States ed i colpi di scena questa volta non sono affatto mancati. Un motivo in più per essere qui per noi commentatori seriali da salotto che di Spin (colpo ad effetto del tennis) ci cibiamo. Non ameremmo chiamarci Spin Doctor altrimenti.
Sì, ma perché siamo qui? So che ve lo starete chiedendo. Siamo qui perché durante la pennichella ferragostana sono stato colpito dal genio di Shepard Fairey (in arte Obey) che ha dato forma (e senso grazie ad un concept finalmente efficace) alla campagna della neo candidata democratica Kamala Harris con una nuova opera.
“We are not going back.”
These words from Kamala Harris summarize the moment we are in, and in order not to go back, we must go FORWARD!
Con queste parole ed una immagine fortissima Fairey ha lanciato il nuovo claim “Forward” a seguito di alcune timidi e deboli tentativi iniziali che hanno accompagnato fino a pochi giorni fa la Harris. Parliamo di un’opera che penso possa diventare un simbolo visivo della campagna presidenziale, così come il famosissimo – ormai icona pop - “Hope” di Obama 2008 lo è per il mondo intero. Campagna, quella, che è da manifesto per qualsiasi addetto ai lavori o simil tale. Infatti è proprio da quella scuola che – con tono tronfio – vengo.
Quindi un benchkmark orizzontale penso sia necessario, ecco perché trovo utile confrontare il nuovissimo – come il candidato a dire il vero – “Forward” di Harris all’ormai fenomeno culturale di Trump MAGA, “Make America Great Again”. Claim usato dal Tycoon repubblicano già nel 2016.
Non che sia la prima volta che lo sentiamo, dato che da piccolo facevo slittare la macchinina telecomandate su di un vecchio poster di Reagan del 1980 che recitava esattamente “Let’s Make America Great Again”. Vinse le elezioni del 81 contro Carter con quello eh. Mica poco. E poi lo abbiamo sentito ancora nel 1992 durante un discorso pubblico di Clinton contro l’uscente Bush. Ancora vittoria. Quindi Trump pare lo tenga come un vero e proprio porta fortuna, se non consideriamo il 2020 ovviamente.
Ma da dove siamo partiti? Ah sì’, dai colpi di scena. Infatti la “Spring Summer 2024” per gli States è stata senza dubbio rovente: dalle gaffes di un ormai saturo Biden al discusso – ed iconico – attentato a Trump per arrivare al ritiro di fine luglio del democratico a favore della Harris che, pare, fare il pieno di voti. Almeno nei sondaggi. Infatti ad un giorno dalla tanto attesa Convention di Chicago del 19 agosto 2024, secondo il Whashington Post – Abc News – Ipsos, Kamala Harris è in testa al 49% contro il 45 di Trump. Ci tengo a ricordare che ad inizio luglio Biden era al 42 e Trump al 43. Focali gli Stati della Sun Belt (Arizona, Georgia, Nevava e North Carolina) che sembrano a portata di mano per la democratica dopo che sono stati per molto tempo a favore del Tycoon.
Senza dubbio lo scontro ormai diventa serrato, anche sotto l’aspetto comunicativo: infatti anche la Harris polarizza il dibattito sferrando dei fortissimi dritti in pieno volto a Trump, con cadenza ormai giornaliera. Inutile dire che stiamo assistendo al populismo progressista contro quello repubblicano a suon di deregulation.
Vediamo ora insieme un po’ di numeri a cui tengo tanto. In fondo cosa siamo senza quelli?
Emerge forte e chiaro che, spinta pure dalla recentissima “discesa” in campo, la Harris cresce tanto (+2 milioni di follower per esempio su Instagram in soli 30 giorni) ed attira interazioni (engagement), molto più di Trump.
Però, c’è un però: Harris nel ristretto periodo 11 ago - 17 ago 2024 ha investito 2.5 milioni di $ su Meta (Facebook/Instagram) contro i 550.000$ di Trump. Anche se i dati di engagement sopra mostrati siano riferiti all’organico, senza dubbio le inserzioni fanno da boost al tutto. È chiaro e giusto che la democratica debba investire di più dato che Trump ha già dato, e tanto. Ma manca ancora molto, ne vedremo delle belle in termini di spesa pubblicitaria online. Soprattutto se consideriamo i Super Pac (Political Action Committe) in campo. Parliamo dei comitati deputati alla raccolta fondi che di distinguono dai normali Pac per gli inesistenti limiti di spesa e che, quindi, fanno sì che i grossissimi finanziatori pigino il piede sull’acceleratore.
Infine, nonostante non si sa che fine faccia il social cinese negli States, per ora entrambi i candidati stanno usando Tik Tok da poco. Il Repubblicano lo usa da inizio giugno con i suoi 10 milioni di follower e le sue irriverenti gag, mentre la Democratica lo usa da fine luglio (appena dopo la candidatura alla Presidenza) con il 50% dei follower rispetto al Tycoon e video umani sì, ma comunque nell’orbita dell’institutional.
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